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Luca Ronconi e il Premio Riccione

Luca Ronconi e il Premio Riccione

Pubblichiamo un bellissimo bianco e nero scattato a Riccione nel 1988. Ritrae Luca Ronconi insieme a uno dei suoi più grandi amici di sempre, Franco Quadri, in piazzale Ceccarini davanti all’installazione Rilievo della parte emersa di Paolo Rosa e Studio Azzurro. Entrambi in posa, guardano diritto verso l’obiettivo di Fulvia Farassino. L’istantanea è parte dell’archivio di Riccione Teatro, che sceglie di ricordare così il più grande uomo di teatro italiano del nostro tempo, un intellettuale raffinato e profondo, un maestro indiscusso dell’innovazione e della sperimentazione.
 
Presenza assidua a Riccione, Ronconi è stato ininterrottamente membro della prestigiosa giuria del Premio dal 1989 al 2007, compagno di viaggio di Riccione Teatro in un momento di grande cambiamento, di rilancio del Premio. L’esperienza di giurato portò tra l’altro alla messinscena da parte del regista di un testo segnalato, L’aquila bambina di Antonio Syxty (1992). Lo ricorda Franco Quadri nel Patalogo 15 (Ubulibri 1992): «Al Premio Riccione ‘91 L’aquila bambina divise la giuria, o meglio suscitò in un suo membro-guida una crisi d’incompatibilità morale per cui il maggior riconoscimento dovette venire dirottato in altra direzione. Ma sempre a Riccione, nella Commissione per il Premio di Produzione, non sarebbe sfuggita al testo l’unanimità; né a Roma più tardi, in sede Eti, l’inclusione nella stretta rosa di novità da far tradurre e quindi promuovere all’estero; né ora, su un binario celere, la messinscena coprodotta da due organismi pubblici con la firma di un regista illustre, componente di quella discorde giuria, ma solitamente refrattario a dirigere opere di contemporanei viventi. Se si aggiunge che l’autore è sotto i trentacinque, il caso investe il costume teatrale».
 
Un testo controverso che al Premio Riccione aveva spaccato la giuria. Per Ronconi, dunque, una sfida necessaria: «Faccio parte della giuria del Premio Riccione, sono regista di professione e per di più mi occupo della programmazione artistica dello Stabile di Torino. Non vedo che cosa ci sia di strano nel mio interesse per una novità teatrale. Il testo di Syxty è stato uno dei migliori selezionati e proprio come regista sono stato mosso da una precisa curiosità: volevo vedere se ero capace di allestirlo, per scoprire cosa mi aveva interessato come giurato. Se ero stato più attratto dal linguaggio così volutamente antiletterario, evasivo, oppure dal contenuto scabroso, o invece dalla totale assenza di realismo. La mia scelta è stata provocatoria, ma la provocazione non sta comunque nell’esibizione dell’oscenità».
 
La missione di Ronconi era la ricerca incessante di nuovi testi. La drammaturgia come viatico per un nuovo teatro d’autore. Non solo testi teatrali, ma anche e soprattutto testi letterari. In uno dei suoi ultimi lavori, Pornografia di Witold Gombrowicz (2013), Ronconi affronta ancora una volta la realizzazione scenica di un’opera non teatrale. Sempre fedele al testo dell’autore, propone una lettura analitica del romanzo attraverso gli strumenti del teatro, a partire dagli attori. Un procedimento che aveva innescato a meraviglia con due capolavori centrali nella sua parabola artistica: l’Orlando furioso riletto da Edoardo Sanguineti (1969) e Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda (1996). Veri e propri congegni scenici, giochi complessi che hanno saputo generare una nuova idea di teatro. La trasposizione televisiva del Pasticciaccio di Ronconi, per la regia di Giuseppe Bertolucci, si è aggiudicata – sempre a Riccione – il Premio Riccione TTV nel 1997.
 
La sua ultima sfida è stata il testo di un drammaturgo sbocciato a Riccione, Stefano Massini. Lehman Trilogy ha debuttato il 29 gennaio 2015 con la regia di Ronconi nel “suo” teatro, il Piccolo di Milano. Uno dei protagonisti di quello strepitoso affresco della crisi contemporanea è un grandissimo Fabrizio Gifuni: un altro artista che come Ronconi, Quadri, Bertolucci vive il teatro in forte connessione con la letteratura.
 
Nel 2005, rispondendo a una domanda del critico teatrale Massimo Marino sui motivi per cui pochi testi premiati arrivano in scena, Ronconi individua con grande lucidità la vera vocazione di un testo contemporaneo: «Non credo sia vero, che solo pochi copioni arrivino sulla scena; piuttosto molti di essi giungono a essere rappresentati in condizioni che non si impongono all’attenzione. La maggior parte, scritti da attori o registi, vengono concepiti per essere messi in scena, ma alle condizioni miserabili che il nostro teatro offre. Mi sembra che sfidino poco il sistema. Anche nei testi scritti da attori e registi c’è una grande acquiescenza allo stato di cose esistente. Sembra che non pensino mai all’imprevisto, a ciò che un pubblico può vedere in quei testi, ma che apprestino mezzi per le proprie possibilità espressive, interpretative, e in tal senso li limitano. Vera qualità di un testo, invece, sta nella eco che può suscitare nella coscienza dello spettatore».
 
Il teatro deve saper osare, sempre. È questo l’insegnamento prezioso che ci ha lasciato Luca Ronconi.
 

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